Gianni Canova e Davide Ferrario a “Il senso del ridicolo”

Canova e Ferrario: sulla risata e sugli italiani

LIVORNO – Nel primo weekend dell’autunno 2016, a Livorno, si è tenuta la seconda edizione del festival dell’umorismo denominato Il Senso del Ridicolo. Tre giorni di incontri, letture ed eventi sul tema dell’umorismo – come riporta il sito ufficiale – durante i quali anche il cinema ha avuto la sua parte sia con la retrospettiva di alcuni film di Luigi Comencini sia per il dibattito critico-culturale che è avvenuto domenica 25 settembre nell’area allestita in piazza dei Domenicani.

I protagonisti del dibattito, il cui titolo era “Comici, Commedianti & Cozzaloni. Italia da ridere per il Grande ScherNo”, erano il professore e critico cinematografico Gianni Canova e il regista e documentarista Davide Ferrario mentre il ruolo di moderatore era stato assegnato al direttore del festival Stefano Bartezzaghi.

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da sx: Davide Ferrario, Stefano Bartezzaghi, Gianni Canova

Quest’ultimo, introducendo le due personalità, ha premesso che il dibattito a cui avremmo assistito sarebbe stato qualcosa di inedito per la kermesse livornese, infatti Ferrario e Canova partivano da due posizioni contrastanti. Posizioni che riguardavano la loro percezione del fenomeno Checco Zalone e i vari aspetti culturali e antropologici legati alla risata nell’ambito del cinema e non solo.

Il primo a prendere la parola è stato Davide Ferrario: la sua posizione è stata da subito ben chiara. Zalone, così come Pieraccioni o Fabio De Luigi, non provoca in lui alcun sentimento comico. Dicendo questo però ha subito chiarito il suo attaccamento al genere della commedia – che lui stesso ha girato con comici come Abatantuono o Littizzetto – ma proprio per questo si è posto il quesito delle motivazioni che spingono gli italiani a ridere con questi comici. Gianni Canova, dal canto suo, ha ribadito la sua vicinanza e simpatia al comico pugliese reduce dal successo di Quo Vado, tanto da dedicargli un instant book dal titolo Quo chi? Di cosa ridiamo quando ridiamo di Checco Zalone.

Un dibattito che nasceva da posizioni completamente distanti poteva rivelarsi sterile di argomenti e di posizioni trasversali. Da una parte, forse, lo è stato. Le due personalità si sono confrontate su posizioni spesso basate su luoghi comuni, da paragoni con il passato senza alcun approfondimento sui contenuti e, soprattutto, quello che è mancato è stato il soggetto-cinema, il filmico e il profilmico a vantaggio di un discorso sociale e culturale che difficilmente sposta le opinioni, ma che magari è quello che coinvolge maggiormente un pubblico generalista.

Dispiace che nessuno si sia preso la briga di elencare le non-qualità registiche di Gennaro Nunziante (regista dei film di Zalone) quando invece la discussione si è basata sul perché Zalone ha portato 12 milioni di italiani al cinema, sulla sua filiazione alla commedia, al cinema comico, a Totò e via dicendo. Si capisce che i due intervistati hanno voluto indirizzare il dibattito verso un aspetto più sociologico e meno cinematografico.

Se Ferrario ha ricordato di come l’italiano, guardando i cosiddetti mostri negli anni Sessanta, incolpava i vari Tognazzi, Sordi, Gassman di quei vizi, sentendosi assolto, Canova ha affermato che questo meccanismo è stato demolito da Zalone: se fino ad ora la comicità di massa era di tipo verticale (la satira o la barzelletta), adesso con Zalone è di tipo orizzontale. Davide Ferrario ha tirato fuori un argomento interessante quando ha paragonato il popolo italiano post Seconda Repubblica a un pubblico “frantizzato”, ovvero simile ad uno dei personaggi negativi di Cuore di De Amicis.

Canova, dal canto suo, ha ribadito che la commedia e l’horror sono due generi che mettono in imbarazzo lo spettatore: per l’horror è un discorso atavico, forse politico e soprattutto di impostazione critica. Ancora nel 2016 personaggi come Mario Bava, Dario Argento o Lucio Fulci sono un patrimonio appannaggio di una ristretta schiera di ammiratori quando dovrebbero stare nel gotha della storia del cinema nazionale, accanto ai maestri della commedia o del dramma sociale. Tornando alla commedia, e in generale al “riso”, Canova ha ricordato come l’italiano ami sghignazzare ma poi se ne vergogni. Partendo da questo fatto, ha segnalato un fatto curioso avvenuto durante le proiezioni dell’ultimo Festival di Venezia: durante la visione di una giovane commedia italiana che Canova non ha nominato – credo Piuma di Roan Johnson, visto che lo hanno riportato anche alcuni quotidiani – dei critici più o meno famosi hanno inveito contro il film durante i titoli di coda. E se questa notizia era di pubblico dominio, quello che ha rivelato Canova è che durante il film questi critici ridevano con piacere.

Un’ora di dibattito comunque interessante, brioso e piacevole. Sperando sempre che nelle prossime edizioni di questo neonato festival labronico (ma dal respiro nazionale) vi sia ancora più spazio per i contenuti riguardanti il cinema.

Tomas Ticciati

Tomas Ticciati
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