Il bel tenebroso Lord Byron

Gli avi di Lord Byron, bello e tenebroso, si erano meritati nomignoli da pazzoidi, o matti conclamati. Il nonno era detto Jack maltempo, perché come ammiraglio attirava uragani e il tempo pessimo lo perseguitava ovunque navigasse; il fratello del nonno si meritò quello di Signore malvagio, violento con i parenti soprattutto se femmine; il padre, il capitano John Byron, era semplicemente Jack il matto, per la vita dissoluta e l’accumulo di  debiti enormi che lasciò in eredità al figlio.

Lord Byron. Richard Westall (1813)

Le ascendenze femminili erano appena un po’ meno squilibrate; Caterina, la madre, era solo eccentrica e ben maritata. Lui, il nostro bel tenebroso, George Gordon Byron ebbe quindi modo di nascere in un giorno con uno zodiaco del tutto particolare, il 22 gennaio 1788, cuspide capricorno-acquario, e con una, si direbbe, innata aspirazione ellenica, per essere nato con una lesione al tendine d’Achille. Le stello lo destinavano, suo malgrado, ad essere eccentrico, a vivere una vita in perenne rincorsa, viaggiando il mondo conosciuto, superando i limiti della decenza e del comune sentire, evitando i confini posti dalle differenze tra sessi, amando donne e uomini, in uno scoppio di energia vitale che lo condusse alla gloria letteraria, agli eccessi sessuali, ai viaggi sulle rotte del Grand Tour e finalmente a morire di reumatismi, meningite o solo mal di pancia, in Grecia, l’amata Grecia, a Missolungi nel 1924.

Byron era un genio del successo letterario, i suoi eredi in spirito dei veri malati di Byronismo, spesso epigoni stanchi, però tendenti al bello e al buio. Il bel tenebroso ha in genere l’aspetto trasognato, malinconico ed assente, non si sa da dove vien, né dove va, chi mai sarà quell’uomo in frack? È bello, tormentato e misterioso, ha il cilindro per cappello, due diamanti per gemelli, un bastone di cristallo, la gardenia nell’occhiello, ed un candido gilet…

L’unica cosa che si sa di lui è che ora è qui, ci insidia la moglie, ma lotta insieme a noi per la libertà della culla della civiltà oppressa dai turchi. L’inglese, come ovvio, odia i tiranni che opprimono e derubano popoli di lunga, antichissima tradizione e cultura. Numerosi sono i discendenti belli e tenebrosi in carne e ossa, ma soprattutto letterari, eroi di carta, sempre vestiti di nero: il conte di Montecristo, il Corsaro Nero, fino a Mandrake e James Bond.

 

 

 

 

 

L’agente a servizio di sua Maestà britannica è come i corsari che difendevano le navi della Regina, ma non si leva mai il tuxedo, che indossa anche sotto la muta da sub. Il Mago col cilindro e il mantello svolazzante (con un gesto delle mani ipnotizza i maigoldi e libera la Principessa Narda) ha appreso la magia in Tibet (dove si trova di preciso sulla carta geografica, questo posto?), ama ricambiato una principessa misteriosa e si fa servire dall’uomo più forte del mondo, il nero leopardato Lothar.

L’ideale bel tenebroso è tanto eccentrico quanto avventuroso. Può essere pallido, ma illuminato da una luce demoniaca, irresistibile con le donne (Lord Byron ebbe 200 donne, oggi ben sotto la portata di un semplice Corona), fu però capace di farsi odiare o amare anche dagli uomini. I bei tenebrosi e i dandy hanno a uggia la vita di tutti i giorni, si annoiano, viaggiano, corrono rischi, sperano nell’oggi, non hanno futuro, cercano disperatamente di morire da eroi, una morte romantica, il petto ansante, con la camicia ben aperta sul collo, ma immacolata. Eppure non si levano di dosso l’area da reazionari.

Sognava Lord Byron, l’eccentrico, un rinnovamento sociale o solo un qualche rinnovamento estetico e artistico? L’uomo fatale è aristocratico, è fuori binario perché è antipopolare, incompreso dal popolo che preferisce l’ordine occhiuto della polizia e serve il tiranno. Byron combatté per la libertà della Grecia senza essere un rivoluzionario o un democratico, indossava lo sdegno come fosse un tuxedo di sartoria ma non riuscì a mettere d’accordo le fazioni greche, in pratica non sparò un colpo e invece di morire in battaglia si prese i reumatismi. Ma come poeta era eccelso.

Il Pellegrinaggio del giovane Aroldo del 1812 è la sua guida poetica e di viaggio che mette sul piedistallo proprio un altro sé stesso, giovane sprezzante e misantropo che incarna il modo di essere del Byron quando aveva viaggiato in luoghi esotici e, ovviamente, orientali. Il melodramma romantico gli si addice e ne predice perfino la fine.

 

 

 

 

 

 

Attenzione, però: si veste di nero come il bel tenebroso anche lo jettatore; ha lo stesso languore funereo, con in più un paio di occhiali affumicati, da dietro i quali ci guarda male. Gli sono calati i nervi; al nero della notte si deve aggiungere il rosso del sangue, il poeta insoddisfatto diventa una creatura che succhia il sangue; il mito per non morire si deve mutare; non lotta più contro i tiranni, tanto è immortale: lotta contro sé stesso e la paura di vivere, mordendo al collo giovani vergini ben disposte. Ci piace un mondo anche oggi.

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