«Ammore e Malavita» dei Manetti Bros ha vinto il David di Donatello

Il 21 marzo, Ammore e Malavita, la commedia musicale dei Manetti Bros ha vinto il David di Donatello come miglior film. La cerimonia è stata officiata da Carlo Conti, garanzia di presenza televisiva in RAI che fa sempre presa sul pubblico del piccolo schermo. Per il premio al film dei Manetti Bros, occorre giubilare, fare festa, ringraziare le divinità che proteggono il cinema, perché il film è gradevole ed esprime bene la vitalità dei cineasti italiani, ancora non del tutto affranti dall’industria cinematografica americana.

Nel piccolo schermo i fratelli Antonio e Marco Manetti sono apprezzati per la serie dell’ispettore Coliandro, amabile poliziotto pasticcione, il cui cognome è già tutto un programma. Scanzonati, intelligenti, i Manetti Bros ci hanno regalato con Ammore e Malavita una visione ironica della Gomorra napoletana. Anzi, meglio, ci hanno riportato ai tempi della Sceneggiata napoletana, con un’operazione che non è di nostalgia ma una vera dichiarazione d’amore per le cose belle e vitali del passato.

Si può ridere della malavita? Si può allestire un musical sulla vita criminale di un boss napoletano e della sua cerchia di amanti e killer in pelle nera e animalier? Sì, eccome, se il boss è lo strepitoso Buccirosso e la moglie una napoletanissima Claudia Gerini (occorre inventare un David speciale per il suo trainer di lingua partenopea…).

Inizio funereo, appunto il funerale di un boss morto che canta nella bara il fatto di non essere lui, ma un altro che gli somiglia ammazzato in sua vece: inizio meravigliosamente kitsch, come tutta la storia del resto. L’idea che ci piace è quella di soffiare nel grande schermo il respiro della sceneggiata napoletana, quella che fu anche di Mario Merola, ultimo e geniale teatrante di canzoni come O zappatore e Lacreme napulitane di Libero Bovio.

Va preso il meglio del film, perché non tutto è perfetto. È buona l’intenzione di affrontare ridendo argomenti scottanti, come del resto faceva la sceneggiata napoletana, ed è ottimo l’eccesso di miele sparso nelle vicende amorose tra le coppie presenti e sui loro sentimenti.

È fatica fare il boss, stanca l’anima e il fisico essere sempre il pezzo grosso, i nemici possono farti fuori, per prendere il tuo posto di re dei mercati ittici. Il boss ’o re do pesce (Carlo Buccirosso) finge allora la propria morte su suggerimento della moglie Donna Maria (Claudia Gerini) per riposarsi in clinica. Quando la giovane infermiera di turno (Emanuela Rossi) lo riconosce, il boss ordina ai suoi killer migliori Ciro (Giampaolo Morelli) e Rosario (il rapper Raiz) di farla fuori. Ciro scopre con sorpresa che lei è Fatima, l’unica ragazza che abbia mai amato e che aveva abbandonato per intraprendere la carriera criminale, attratto anche e senza dubbio dai copriserbatoio in pelle di leopardo delle moto professionali da killer napoletano. Per salvarla, Ciro nasconde Fatima a casa dello zio Mimmo, dando inizio a una guerra sanguinosa con tutto il clan criminale, tradendo anche il compagno-fratello Rosario.

I Manetti Bros hanno mescolato film d’azione, giallo, kung-fu e love story, per una celebrazione ironica dello stereotipo napoletano, la guapperia, che ama e ammazza, mettendo in scena testi e canzoni come in un musical, rivendicando a Napoli la sua invenzione come sceneggiata. Ci piace? Certo, ci piace, ma sentiamo di essere lontani da Hollywood. Il confronto al box office (si può veramente fare? Non ma qualcosa significherà…) è impietoso: Ammore e Malavita ha incassato circa 2 milioni di euro, il musical hollywoodiano La La Land circa 500. Era tanto più godibile? Sarà la lingua? Sarà la distribuzione? Sarà quel che sarà, ma il film dei Manetti resta più un progetto per il futuro che non un’opera perfettamente compiuta e riuscita. La combinazione postmoderna di elementi e linguaggi diversi è ancora gracile, anche se ha dato il modo alla coppia di registi di stemperare la tensione gomorroica, che rischia la retorica. Soprattutto ci ha dato la gioia di vedere Stefano Buccirosso nei panni di ’o re do pesce, spietato ma canterino boss napoletano.

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