Al Blu Café con Diana Gallo

La malattia mentale è sempre stata un tabù per coloro che non sanno vedere al di là della patologia, laddove si trovano antiche solitudini ed amori mai vissuti, quando anche il silenzio diviene il più assordante tra i frastuoni. Ma oggi si può ancora parlare di tabù o più semplicemente diviene convenzionale usare la parola indifferenza? Quando mi è stato affidato l’incarico dal redattore, di intervistare la presidentessa dell’associazione L’Alba di Pisa, Diana Gallo, ho cominciato a pormi quesiti su quesiti: quali le domande adatte da rivolgere? Fino a dove potermi spingere? L’educazione di ognuno funge da inibitore al fine di non farci apparire indiscreti, specialmente riguardo a temi così delicati, tuttavia ho pensato bene di andare più a fondo. Questa intervista, infatti, si suddivide in due parti: la prima, naturalmente, è dedicata all’importante lavoro che l’associazione L’Alba svolge diligentemente da quasi vent’anni, la seconda, invece, è mirata alla conoscenza di quel mondo così misterioso, di quello stigma, quale è la malattia mentale, che spero di poter delucidatamente rendere più fulgido al lettore.Alba14

L’associazione L’Alba affonda le proprie radici nella Pisa dell’anno del Giubileo, il 2000, anno oltremodo significativo che sancisce il passaggio dal vecchio al nuovo millennio. L’obiettivo che l’associazione si prepone è tanto valido quanto utile: l’integrazione psico-sociale di quanti hanno sofferto o soffrono di disagi psichici o psicologici, il tutto tramite la creazione di spazi condivisi ed accessibili a chiunque. Attraverso un tragitto riabilitativo individuale si cerca di reintegrare il disagiato psichico all’interno di un contesto sociale reale fino, nei casi più meritevoli, a coinvolgerlo anche in un contesto lavorativo. Tutto questo è possibile anche, se non quasi totalmente, grazie all’Associazione di volontariato L’Alba auto-aiuto. Questa nasce l’8 agosto 2006, ma di fatto è operativa dal 1999. Riprende il lavoro svolto, nel 1993, da un gruppo di auto-aiuto per pazienti psichiatrici sorto in clinica psichiatrica che ha costituito il preambolo per il movimento associazionistico che successivamente arriverà a consolidarsi sul territorio. L’associazione di auto-aiuto ha come scopo quello di diffondere la propria cultura e reinserire le persone con problematiche psichiatriche nel contesto-mondo. Oltre a questo si pone una serie di obiettivi umanitari essenziali, come promuovere il diritto alla cittadinanza del disagiato psichico, lottare contro lo stigma ed il pregiudizio, tutelare la diversità etnica e l’orientamento sessuale e religioso, l’abbattimento del dogmatismo, lottare contro l’abuso psichiatrico e promuovere un uso etico e corretto dello psicofarmaco.

20-img-20151104-123411Tra i progetti più importanti dell’associazione rientrano il Ristorante del Cuore, inaugurato nel 2014 e gestito dalla società Rubedo s.r.l, il Blu Café, nell’androne di Palazzo Blu, gestito dalla medesima società e lo Stabilimento Balneare Big Fish. Gestito dall’associazione, lo stabilimento, inaugurato nel 2013, è il primo in Italia in gestione ad ex pazienti psichiatrici ed ha già riscosso notevole successo tra i mass media come fulgido esempio in  termini di integrazione sociale, creazione di posti di lavoro e, specialmente, come primo grande passo verso la costruzione di sensibilità umana. Inoltre l’associazione detiene un terreno dal quale ricava le derrate alimentari utilizzate nei propri punti ristoro, passo decisivo per l’auto-produzione.

Ho trascorso delle piacevolissime ore all’interno dell’associazione, parlando con facilitatori sociali tra cui Davide, il quale detiene una cultura incredibile nell’ambito della malattia mentale e della negazione dei diritti dei malati mentali durante il secolo scorso. Con Diana, ci siamo recati al Blu Café dove ha avuto luogo l’intervista, davanti ad un delizioso piatto di testaroli al pesto, gentilmente offertomi dall’associazione.

diana galloMa adesso passiamo la parola ad una delle colonne portanti di questo massiccio edificio di solidarietà, vale a dire la presidentessa dell’associazione L’Alba, Diana Gallo.

 Perché associazione L’Alba?

Alba è un acronimo che significa Luce, Aiuto, Libertà, Bisogno e Benessere, nonché Amicizia. Ci occupiamo di trasformazione. Sancire il passaggio da persone passive, vale a dire reduci da un trascorso di disagio, a persone in grado di riprogettare la propria vita e programmare il proprio futuro”.

Di cosa si occupa l’associazione dettagliatamente?

Genericamente di riabilitazione psichiatrica e sociale. Si tratta di una disciplina che consente di effettuare dei percorsi atti a reinserire le persone nel tessuto mondo, facendole uscire dall’etichetta di “matti” e consentendo loro di svolgere una vita sociale adeguata, dunque a riprendere l’affettività e quelle cognizioni che la patologia avrebbe loro impedito”.

Avete incontrato ostacoli nell’assoluzione del vostro progetto?”

Gli ostacoli sono stati tanti e ci sono tutt’ora. Non è semplice realizzare tutto quello che abbiamo realizzato nel tempo. Il primo ostacolo, infimo e terribile, è quello culturale. Le persone, purtroppo, a causa del lascito manicomiale associano la patologia mentale all’inguaribilità, alla pericolosità sociale, alla paura; dunque non è diffiile abbattere questo stigma, così si può definire. Si assiste ad una bollatura; coloro che hanno sofferto di patologie mentali sono matti, non si curano e non ci sono speranze, val la pena dunque di prenderli in giro ed emarginarli. Noi tendiamo ad allontanare questo paradigma come si allontana un demonio, si tratta di una concezione superata del problema ed occorre farsene una ragione al riguardo. La scienza delucida il quadro. Dalla malattia mentale si può guarire, da questo tunnel si può uscire, si può tornare ad essere persone normali con le nevrosi, assolutamente trascurabili, di tutti i cittadini del mondo. Non tutte le persone che hanno sofferto di disagi mentali riescono poi ad essere inserite lavorativamente, ma la gran parte di loro riesce a rivestire ruoli di responsabilità”.

Qual’è, in una parola, il messaggio che si vuole trasmettere?”

Inclusione, ma è difficile esprimerne il messaggio in una parola. Direi che Solidarietà è il termine appropriato”.

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Solidarietà. Una parola stupenda tra l’altro. È questi forse uno dei motivi per i quali avete pensato di aprire un ristorante?”

Sì, infatti. Il movente principale è la creatività in ambito solidale. Gli aiuti degli enti pubblici, con i quali nutriamo stupendi rapporti nati in seguito alla lotta allo stigma, vengono utilizzati nella cooperazione al fine di ristabilire i rapporti tra esseri umani per una società migliore. Naturalmente non sempre fila tutto liscio, le difficoltà ci sono state anche in termini di realizzazione. Non sempre viene rispettata la puntualità, le convenzioni non sono ancora del tutto stabili. Nonostante stiamo per entrare nel ventennio di attività e siamo molto presenti sul territorio, abbiamo ancora bisogno di ricorrere alle convenzioni. La volontà era quella di assumere nuove persone ed attivare nuove modalità di auto-finanziamento, avere dunque nuovi spazi in cui, ed è questa l’esperienza da cui partimo nella ristorazione, divertirsi e poter stare insieme. Vogliamo che gli ex malati psichiatrici si sentano protagonisti, essendo loro stessi gli erogatori del serizio, dando vita ad una realtà estremamente nuova e particolare. Essere gestori significa molto. È un abbattimento completo del paradigma, da essere loro ad aver bisogno di un aiuto ad esser quelli che erogano un servizio, ribaltando così il concetto di paziente che usufruisce di cure, a persona socialmente utile e valida. Questa è stata un’intuizione eccezionale che poi ci ha aperto la strada e, da un ristorante, siamo ben presto riusciti ad aprirne quattro. Nel 2007 il Circolo ARCI L’Alba, Nel 2013 abbiamo vinto la gara per la gestione dello stabilimento balneare Big Fish, di cui adesso siamo gli assegnatari definitivi. Nel 2014 abbiamo aperto il ristorante del cuore, in collaborazione con la Società della Salute e con la Fondazione Pisa, che ringraziamo veramente di cuore per averci sostenuto in tutto questo tempo e, in virtù dei buoni rapporti, in questo momento ci blu-cafétroviamo proprio nell’interno della Fondazione Pisa, al Blu Café, nel cuore del museo più importante della città. Data la nostra determinazione e la forza di volontà, la fondazione ha deciso di sostenerci, e lo fa in maniera rigorosa. Ha deciso, per esempio, di affidarci questo spazio per farlo ripartire con le nostre modalità di integrazione. Abbiamo creato la Rubedo s.r.l, che è un’impresa sociale a tutti gli effetti, dove non ci sono divisioni di utili, ma tutto viene reinvestito nelle rivalutazioni degli spazi e delle nuove associazioni. Stiamo molto attenti al Gourmet. Tendiamo ad offrire servizi di buona cucina partendo dalla genuinità degli ingredienti. Le verdure, ad esempio, ce le produciamo da noi. Abbiamo un campo a Marina di Pisa, parte del progetto Orta per l’agricoltura sociale, dal quale ricaviamo, in questo periodo, cavoli e cavoletti a più non posso. Chiaramente sono molto buoni e genuini, poiché sappiamo con certezza quello che ci mettiamo, dunque possiamo garantire al cliente la freschezza del prodotto, dal campo fino alla tavola”.

Qual’è l’anima dell’associazione?” 

Ci sono tre anime. La prima è l’associazione di auto-aiuto, che si occupa di inserire volontari nell’ambito della salute mentale per la reintegrazione degli ex malati psichiatrici. La Seconda è L’alba Circolo, che è quello da cui siamo partiti, divenuto poi circolo vegano al fine di fornire un servizio diverso, e come ultima, ma non per importanza, c’è l’impresa. Questo modello è interessantissimo, non tutti riescono a farlo. Tenere insieme professionalità, volontariato e produzione sociale richiede impegno, costanza e perseveranza. Quindi possiamo definire queste tre associazioni come tre sorelle che, ovviamente, fanno parte della stessa famiglia. Come associazione  cerchiamo di collaborare con tutte le realtà del tessuto cittadino, regionale e nazionale, e questo costituisce un primato per noi. Ci avvaliamo del lavoro di facilitatori sociali, ossia ex pazienti che, grazie ad un percorso individuale di formazione sono riusciti a perseguire la qualifica per poter aiutare gli altri. Ringraziamo tutte le associazioni che ci hanno aiutato, tra cui la USL 5, che ci ha aiutato a lastricare questa strada sterrata, fino a farla diventare completamente liscia. Per quanto riguarda questa reintegrazione lavorativa costituiamo un primato d’eccellenza, e di questo ne andiamo molto fieri”.

Detto in questi termini, Alba è anche un sinonimo di inizio, ma a cosa si deve questo inizio?

L’Alba lo ha iventato Valeriana, la cuoca del Ristorante del Cuore. Un giorno ebbe questa intuizione, era il 28 gennaio del 2000. Lei aveva sofferto di depressione cronica maggiore e in questi casi l’unico colore di cui si ha fervido ricordo è il nero, l’oscurità, percepito quindi anche come tramonto. In questo caso Alba significa esattamente inizio, risveglio, resurrezione. Il messaggio è quello di risorgere ogni giorno a nuova vita e rimettersi in gioco perché, dopo il tramonto, una nuova Alba è destinata a sorgere”.

Vorrei rivolgerti adesso qualche domanda sul mondo della malattia mentale; partiamo da questa: Tu sei laureata in riabilitazione psichiatrica e sei una tra gli esperti dell’argomento, dunque se ti chiedessi cosa è per te la follia, cosa risponderesti?

Per me la follia, fuori dai termini scientifici, è rappresentata perfettamente da chi uccide, da chi fa la guerra. Quella è follia. Infatti, con il nostro laboratorio di teatro, stiamo lavorando sulla Stupidità. Si va a parlare di guerra, di Olocausto, tutte cose che per me rappresentano la vera follia. La malattia mentale, del resto, è solo una patologia da curare”.

Ed in termini scientifici?” 

la malattia mentale è una patologia della mente che riguarda le persone democraticamente, non esiste classe sociale, età o sesso prestabilito, chiunque ne può essere affetto. La natura della malattia è bio-psico-sociale, costituita quindi da una parte biologica, una psicologica ed una sociale, quindi ambientale. Esiste una riabilitazione di tipo sistemico-relazionale, proprio perché quando il paziente è affetto da tali patologie, a risentirne maggiormente è il sistema relazionale intorno a lui, non per niente è chiamata “malattia delle relazioni umane”; la prima cosa che avviene in caso di patolgia è l’isolamento del malato, che rompe ogni tipo di relazione con il mondo. Le cause possono essere molte e solitamente non è mai una sola . Stare male di testa significa, in termini clinici, non avere un preciso rigore delle facoltà mentali. La schizofrenia, nell’immaginario collettivo, è considerata la vera malattia mentale. È caratterizzata da delirio, allucinazioni visive, uditive ed olfattive. Il delirio è la costruzione erronea della realtà, che però non viene messa in critica dalla persona, il “pazzo” non sa di essere “pazzo”. Può quindi soffrire di gravi disturbi, come ad esempio manie di persecuzione.

Alda Merini diceva:”si va in manicomio per morire”, tuttavia non si tratta di una morte fisica, cosa ne pensi? Qual’è il tuo punto di vista sui manicomi?”

 Alda Merini è vissuta in un contesto più antico di oggi, grazie al cielo. I manicomi erano un posto dove le persone perdevano i diritti civili, erano misconosciuti alla società, si parla infatti di “corrispondenza negata”, ossia non potevano ricevere neanche la posta e non avevano diritto di voto. Era un mondo dentro al mondo. A morire, certo, non si moriva del tutto, specialmente le persone di alto spessore, come poteva essere la Merini, continuavano a vivere nel loro credo e nella loro essenza, nella loro creatività, ma non era per tutti così. Tanti erano ridotti a morti viventi. Il manicomio costituisce un’esperienza da ricordare affinché non si ripeta mai più. Le strutture di oggi devono tendenzialmente puntare alla “recovery”, ossia alla cura attiva del paziente, che deve tornare ad essere protagonista del proprio destino di essere umano. Non si entra nella malattia mentale volutamente, ma volontariamente si può decidere di combatterla, questo ovviamente deve avvenire con qualcuno disposto a tendere un braccio al quale afferrarsi. Il manicomio era un limbo, vi si vegetava all’interno imbottiti di psicofarmaci, peggiorando così la situazione clinica”.

In che modo la follia diventa arte?

Nella mente del malato psichiatrico c’è un mondo che, se esternato, può dar vita ad una creatività incredibile, non è raro incorrere in questo. I ragazzi dell’associazione hanno dipinto i quadri ispirati a Toulouse-Lautrec e da solo puoi constatare quanto l’arte possa essere parte di queste persone. Naturalmente questa creatività si può espandere ad ogni settore dell’arte”.

Alda Merini diceva pure che “anche la follia merita i suoi applausi”. Pensi si riferisse alla poca considerazione da parte del mondo verso la malattia mentale?”

 Nel mondo in cui è vissuta la Merini sì. Credo si riferisse esplicitamente al bisogno di attenzione, quell’attenzione che il mondo le negava. La solidarietà e la sensibilità riguardo a questi argomenti sono materie successive alla chiusura dei manicomi, con la scoperta delle barbarie che all’interno di questi venivano perpetrate”.

Un’ultima domanda, ovviamente non per importanza: Durante il secolo scorso, sotto una ben nota dittatura, quella del malato mentale era considerata una “vita indegna di essere vissuta”. Si procedette all’eliminazione fisica di migliaia di malati mentali e disabili. Non è forse questa una vera follia?”

La risposta te la sei già data. Questa è la follia. Ritenere concepibile abbattere delle persone piuttosto che curarle. Loro non credevano neanche che fosse possibile curare la malattia mentale. Ritengo che la nostra associazione possa fornire un fulgido esempio di quanto si sbagliassero. La malattia mentale si può curare. Ci vuole solo sensibilità e voglia di mettersi in gioco, voglia che peraltro molti malati psichiatrici hanno in più rispetto ad una persona sana, ed è proprio questo il primo passo per l’abbattimento degli stigmi sociali”.

Nicola Di Nardo

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