L’affaire Šostakovič

La questione della musica nell’Unione Sovietica è particolarmente complessa e impossibile da trattare globalmente, se non in modo superficiale e lacunoso. Vale però la pena di trattare – seppur brevemente – l’affaire Šostakovič.

Dmitrij Šostakovič

Nel 1926 Dmitrij Šostakovič fu sommerso dal suo primo successo: il 12 maggio di quell’anno la Filarmonica di Leningrado eseguì in première la sua Sinfonia n. 1 in fa minore. Il lavoro ottenne reazioni entusiastiche da parte del pubblico e della critica, i docenti del conservatorio di Leningrado lo ammisero al corso di composizione e negli anni immediatamente successivi la Sinfonia venne celebrata all’estero da direttori come Bruno Walter, Leopold Stokowsk e Arturo Toscanini. Anche se all’epoca Šostakovič non poteva saperlo, di lì a poco sarebbero cominciati i guai: il vento, in Russia, stava cambiando.

Proprio l’anno prima, nel 1925, era stato istituito un organo di controllo sull’attività musicale nell’URSS, con l’obbligo di garantire la più stretta aderenza alle linee guida fornite dal partito; questo organo era l’ARMP, Associazione Russa dei Musicisti Proletari, e ben presto da un semplice organo di controllo di mutò in strumento di repressione e costrizione, dove la musica veniva censurata in base al suo contenuto, alla forma e alla loro funzione propagandistica. Quando una composizione non rientrava in certi canoni (o, più banalmente, nel gusto del recensore) la si accusava di «formalismo», qualsiasi cosa volesse significare, e a seguito di questo poteva anche essere proibita.

Questo è proprio quello che è accaduto alla prima opera completa di Šostakovič, Il naso, da Gogol’. Scritta nel 1929 fu accusata di «formalismo» dall’ARMP, allora Šostakovič la rimaneggiò pesantemente per poterla rappresentare l’anno successivo: nel 1930 Il naso andò in scena, ebbe un successo di pubblico straordinario… e fu proibita. L’ARMP la definì un prodotto della «borghesia decadente» e Šostakovič se ne tornò a casa colle pive nel sacco. 

Nel 1932 l’ARMP venne abolito e venne sostituita dalla Lega dei Compositori Sovietici (talvolta nota come Unione), de facto gestita direttamente dal Segretario Generale del Partito: Iosif Stalin. Stalin, attraverso la Lega dei Compositori impose delle linee ancor più marcate, chiedendo ai compositori lavori permeati di ottimismo, entusiasmo ed encomiastica esaltazione della patria, unito alla presenza di melodie popolari e di finali trionfalistici. Al ventiseienne Šostakovič non rimase che una possibilità: adeguarsi alle linee guida imposte dal partito. O, per lo meno, tentare di adeguarsi. La personalità irrequieta di Šostakovič gli impedirà di piegarsi completamente a queste linee guida: troverà rifugio nell’attività di compositore di colonne sonore (il cinema, tanto voluto dal regime e da Stalin, faceva parte dell’«esaltazione della patria»), in molti casi riuscì – seppur a malincuore – a scendere a compromessi, ma la sua indole riemerse sempre e causandogli diversi problemi.

Il primo “incidente” significativo avvenne nel 1934, in concomitanza colla rappresentazione di una delle sue maggiori opere, la splendida Lady Macbeth del Distretto di Mcensk. Similmente alla Sinfonia n. 1, la Lady Macbeth ottenne un successo internazionale fuori dal comune e anche in patria ebbe un esito particolarmente felice (si parla in due anni di circa un’ottantina di repliche), tanto che la denuncia fu per Šostakovič il proverbiale fulmine a ciel sereno. Ad oggi non si sa esattamente come siano andate le cose, esistono molte versioni contrastanti, ma vale la pena di riportare quella più diffusa: a seguito di questo straordinario successo, Stalin volle assistere a una recita della Lady Macbeth e ne rimase orripilato. Alcuni riportano che se ne andò all’intervallo, altri che lasciò la sala al terzo atto, altri ancora che rimase fino alla fine per dileggiare la musica di Šostakovič. Fatto sta che dopo quella rappresentazione uscì sulla Pravda («la verità», l’organo di stampa ufficiale del Partito Comunista sovietico) un articolo intitolo «Caos invece di musica», in cui l’opera di Šostakovič veniva letteralmente demolita e – per sommo spregio – il nome dell’autore non compariva neppure. La stroncatura non era firmata e nemmeno in data odierna sappiamo con certezza chi ne sia autore; è certo, comunque, che dietro ci sia Stalin: forse la scrisse lui stesso (capitava sovente che fosse proprio il leader dell’Unione Sovietica a scrivere recensioni, specie se di spettacoli a lui non graditi, in forma anonima), forse incaricò qualcuno di farlo, sta di fatto che la stroncatura fu un duro colpo per Šostakovič che si vide cancellare l’opera dai cartelloni teatrali. A seguito di questo primo attacco anche altri suoi lavori furono duramente criticati, tra cui il Concerto n. 1 per pianoforte, tromba e orchestra d’archi.

Iosif Stalin nel 1945

Parallelamente la situazione si fece sempre più preoccupante: il generale Michail Nikolaevič Tuchačevskij, protettore di Dmitrij, il regista Vsevolod Ėmil’evič Mejerchol’d, che lo scelse per comporre le colonne sonore di alcuni dei suoi film, e il musicologo Nikolaj Sergeevič Žiljaev, che aveva spesso sostenuto Šostakovič nelle sue recensioni, furono uccisi assieme alle rispettive famiglie nel corso delle “purghe” staliniste. In aggiunta a questo, la Lega dei Compositori richiamò formalmente Šostakovič chiedendogli di «tornare sulla retta via», ossia di adeguarsi maggiormente alle linee guida imposte dal partito e dal realismo socialista. In questo clima si andava avvicinando la première del suo nuovo lavoro, la Sinfonia n. 4 in do minore: a seguito dell’incontro colla Lega dei Compositori e – soprattutto – temendo di fare la fine di molti dei propri amici, Šostakovič ritirò il brano. Al suo posto, ossia nel novembre 1937, fece eseguire un lavoro scritto appositamente per l’occasione, la Sinfonia n. 5 in re minore, con l’eloquente sottotitolo «risposta ad una giusta critica». 

Questa monumentale Sinfonia, tra le più eseguite attualmente tra quelle di Šostakovič, ricevette un’ovazione da parte del pubblico della durata – così si dice – di mezz’ora. Alcuni critici sottolinearono la forte discontinuità tra il carattere cupo e tormentato dell’opera con il trionfale finale in re maggiore. A questa osservazione, Šostakovič rispose: «Mi è stato detto che lo stile del movimento è diverso da quello degli altri tre. Mi sento di smentire. In conformità con l’idea principale dell’intera opera, il finale risponde a tutte le domande sorte nei precedenti tempi […]. Questo finale dà una risposta ottimista ai momenti tragici che troviamo nei precedenti tempi della sinfonia». Eppure è vero: il finale ottimista e glorioso è totalmente fuori luogo e forzato, sforzato; naturalmente Šostakovič sapeva che questa era la verità e, dietro la risposta “ufficiale”, ne diede una seconda ben più sincera: «Di cosa si dovrebbe giubilare. Ritengo sia chiaro quel che accade veramente nella Quinta. Il giubilo è forzato, è frutto di costruzione[…]. È come se qualcuno ti picchiasse con un bastone e intanto ti ripetesse: “Il tuo dovere è di giubilare, il tuo dovere è di giubilare”. E tu ti rialzi tremante con le ossa rotte e riprendi a marciare bofonchiando: “Il nostro dovere è di giubilare, il nostro dovere è di giubilare”».

Šostakovič si riabilitò così agli occhi del partito, ma durò poco. Nel 1938 iniziò a girare voce che la sua prossima sinfonia sarebbe stata dedicata a Lenin (cosa che invece sarebbe accaduto solo molto più avanti, colla Sinfonia n. 12 ), invece la Sinfonia n. 6 in si minore fu qualcosa di molto strano: corta, di soli tre movimenti, ricca di citazioni di Verdi, Rossini, Mozart e dello stesso Šostakovič. Non incontrò molto il gusto né del pubblico né dei colleghi della Lega dei Compositori, che prevedibilmente lo accusarono di formalismo.

Allo scoppio della guerra la situazione mutò notevolmente: se prima Šostakovič si era sempre tenuto al limite (per non dire allontanato) dalle linee guida imposte dal partito, con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale iniziò a comporre un nuovo tipo di musica, che esaltasse la patria e la lotta al Fascismo e al Nazismo. È in questo periodo che nascono le Sinfonie n. 7, 8 e(va anche segnalato che la Sinfonia n. 7 in do maggiore “Leningrado” fu composta per buona parte durante l’assedio di Leningrado da parte dell’esercito nazista). La Settima incontrò grande approvazione, mentre le altre due ebbero un destino diverso; l’Ottava, per la mancanza di toni ottimistici ed eroici, venne proibita (sarà riabilitata solo quindici anni dopo) e la Nona prese tutti in contropiede: se il pubblico, dato che la Sinfonia venne scritta per celebrare la vittoria sulla Germania nazista, si aspettava qualcosa di simile alla Nona di Beethoven, con cori e quant’altro, non poteva ricevere in cambio nulla di più diverso; tutta la Sinfonia, in stile neoclassico, è caratterizzata da temi leggeri e spensierati, ed è molto lontana da qualsivoglia magniloquenza, tanto da suscitare più d’una perplessità.

Šostakovič arruolato tra i pompieri mentre presidia il tetto del conservatorio di Leningrado durante l’assedio nazista

 

Anche il Dopoguerra non fu un periodo particolarmente facile per Šostakovič, dato che le tensioni tra URSS e Stati Uniti lo danneggiarono molto: fino ad allora aveva sempre goduto di grande stima da parte del pubblico interazionale, soprattutto statunitense, ma questa stima subì una flessione importante a causa del gelo tra le due nazioni. Toscanini, suo grande ammiratore dai tempi della Sinfonia n. 1, lo aveva inizialmente contattato per eseguire sue musiche negli USA ma, a causa del periodo storico, non se ne fece nulla e il concerto già programmato saltò. La sua posizione all’estero si compromise in questo modo non solo per l’avvento della Guerra Fredda ma anche perché cercò sempre più di comporre musica gradita al regime. I risultati non devono aver incontrato il favore della Lega dei Compositori perché nel 1948 fu accusato di formalismo assieme a  Muradeli, Mjaskovskij, Šebalin, Popov, Prokof’ev e Chačaturjan. A causa di quest’accusa Šostakovič perse la cattedra ai conservatori di Mosca e Leningrado e non fu completamente riabilitato fino al 1952.

Nel 1953 morì Stalin. Anche in questo caso, Šostakovič annientò qualsiasi possibile aspettativa perché tutto quello che ne ricavò fu la Sinfonia n. 10 in mi minore, un riassunto in 50 minuti di trent’anni di stalinismo. Tre anni dopo, nel 1956, Nikita Chruščëv denuncerà pubblicamente gli orrori dello stalinismo, aprendo una nuova era per l’arte (e la musica) russa: Šostakovič, finalmente libero dalle pastoie della censura, attaccò duramente i censori sovietici dalle pagine della Pravda, lo stesso giornale che così spesso aveva vilipeso il suo lavoro, i suoi lavori proibiti – dal Naso alla Lady Macbeth – furono gradatamente riscoperti e nuovamente eseguiti in pubblico. La nottata, a quanto pare, era davvero passata.

lfmusica@yahoo.com

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