666 Il numero dell’Apocalisse nell’album degli Aphrodite’s Child

666 (The Apocalypse of John, 13/18) degli Aphrodite’s Child è il terzo e ultimo album del gruppo progressive franco-greco, uscito nel giugno del 1972 per la Vertigo Records dopo due anni di lavoro, quando ormai la band si era già sciolta e gli artisti avevano intrapreso carriere soliste. Il concept dell’album, basato sull’Apocalisse di Giovanni, è stato creato e in parte arrangiato dal tastierista Evangelos Papathanassiou (in arte Vangelis, quello stesso che realizzerà le colonne sonore per Momenti di gloria e Blade Runner), dal regista Costas Ferris, in qualità di autore dei testi, insieme a musicisti di grande bravura come Demis Roussos (basso), Lucas Sideras (chitarra), Silver Koulouris (batteria), Irene Papas (voce solista) e altri artisti. L’album inizialmente non ebbe grande successo tra il pubblico, appassionati del prog a parte, perché venne accusato di contenere derive politiche rivoluzionarie, blasfemia, possessione demoniaca e pornografia.

666 Front

Anyone who as intelligence


May interpret the number of the beast.

It is a man’s number.
 This number is 666

Queste parole, tratte dall’Apocalisse di Giovanni, sono incise sulla copertina di questo album, dove il numero della Bestia compare tre anni prima dei 666 dei Black Sabbath (sulla copertina di Sabbath Bloody Sabbath) e 12 prima della celebre canzone degli Iron Maiden, Number Of The Beast. La citazione sulla copertina è come un avvertimento che introduce l’ascoltatore a quanto accadrà, ovvero alla lotta tra il Bene e il Male che prende forma nelle quattro sezioni del disco, come in una vera e propria opera rock. Il concetto centrale su cui gli Aphrodite’s Child si soffermano non è una totale lettura filologica del Libro dell’Apocalisse, ma piuttosto di un’interpretazione contro-culturale dello stesso, lontana dall’interpretazione religiosa, raccontata e descritta con una meta-narrazione non lineare, ispirata ad album come Sergent Pepper dei Beatles, a film come Quarto Potere, alle rappresentazioni colte di musica seicentesca (gli Oratori di Caccini e Cavalieri), alla tragedia greca e ai concept book di compositori del folklore greco degli anni ’60 del XX secolo.
Lo scontro canonico tra Bene e Male ha in 666 un’ambientazione nuova e contemporanea che parte da una messa in scena, da una finzione teatrale: il primo luogo in cui prende vita la storia dell’Apocalisse è infatti un tendone da circo, in cui ballerini, attori e acrobati mettono in scena la narrazione dell’apostolo Giovanni. L’Apocalisse finzione e spettacolo si svolge in uno spazio chiuso, ma man mano che si va avanti nell’ascolto del disco ci si accorge che anche fuori dal circo sta accadendo qualcosa. Oltre la tenda inizia a scatenarsi un temporale (che il pubblico percepisce come parte dello spettacolo e quindi coerente alla finzione). In realtà ciò che accade fuori è il vero disastro apocalittico messo in scena da Dio stesso. Alla fine la grande tenda circense scompare e le due Apocalissi (scenica e reale) si uniscono: scoppia così la grande battaglia tra il Bene e il Male, tra la vera rivelazione e la sua rappresentazione scenica.
666 aveva tutte le carte in regola per essere un disco estremamente colto che riuniva in sé letteratura, musica tradizionale, arti visive e cinema. Per la presentazione dell’album appena uscito Costas chiese a un suo collega, l’artista Salvador Dalì, di realizzare una performance a Barcellona. L’artista realizzò uno scritto intitolato 666 vs Sagrada Familia, The Barcelona happening che prevedeva un’enorme messa in scena surrealista di fronte alla chiesa, con altoparlanti che avrebbero trasmesso il disco della band greca, con esplosioni, cigni, ippopotami, arcivescovi volanti e uomini in uniforme nazista che avevano il compito di bloccare il passaggio della folla e di arrestare chiunque si trovava sul loro cammino. La performance infatti doveva andare in scena il giorno dell’abrogazione della Legge Marziale a Barcellona e non doveva risultare visibile al pubblico: solo una coppia poteva avere il privilegio di osservarla perché la performance, secondo Dalì, doveva essere esclusivamente trasmessa per via orale. La grande impalcatura scenica purtroppo non venne mai realizzata e i rapporti tra Costas e l’artista si interruppero molto presto.

vangelis e dalì

Vangelis e Salvador Dalì

Le canzoni

L’album 666, composto di quattro sezioni, è un vero e proprio calderone di sperimentazioni musicali e generi. Si passa dal folk greco alla musica bizantina, dagli stilemi progressive dei tempi dispari al free jazz e a soluzioni alla Frank Zappa, dal funk all’opera corale, fino a esperenti rumoristi con svariati oggetti. All’interno si trovano moltissimi rimandi al Libro dell’Apocalisse filologicamente corretti e tradotti in pezzi come Babilionia, The Four Horsemen, che parafrasa il sesto paragrafo del Libro, The Lamb, The Seventh Seal, che si riferisce all’apertura del Settimo Sigillo della Rivelazione, The Wakening Beast, Seven Trumpets etc. Altri pezzi più metaforici si collegano invece a riflessioni politiche e sociali del periodo con uno sfondo pacifista, dove la lotta tra il Bene e il Male e il concetto dell’Apocalisse si trasformano in una lotta tra Pace e Guerra, tra ottimismo e pessimismo, tra rivincita giovanile e oppressione del sistema. Non mancano ovviamente i rimandi colti alla tradizione greca antica: l’ultima canzone sul secondo lato, Ofis, è un breve interludio in cui Yiannis Tsarouchis recita un dialogo in greco proveniente da una rappresentazione del teatro delle ombre greco dal titolo Alessandro Magno e il maledetto serpente, metafora del male tutto profano che si nasconde ovunque e che va combattuto duramente.
La prima canzone dell’album, The System, ricalca problematiche più sociali e si pone come un inno sarcastico e tribale nei confronti del sistema: «Abbiamo ottenuto il sistema per fottere il sistema!». Il testo si ispira all’opuscolo politico Fuck the sistem di Abbie Hoffman, un manuale che predicava la libertà in ogni azione della vita, nel cibo, nel sesso, nella musica, nel credo, nel vestirsi, nella politica, nello studio, nell’arte, nella poesia e via dicendo. Lo stilema di protesta ritorna anche nel pezzo più pop Hic and Nunc, ma con una forza minore. La stessa voglia di libertà e di denuncia dell’oppressione si ha in Loud Loud Loud, un pezzo che combina una melodia dolce a due accordi di pianoforte suonati da Vangelis con la narrazione di Daniel Koplowitz. La narrazione riflette uno spirito di ottimismo contro-culturale, e descrive il momento in cui il mondo si capovolgerà e «i ragazzi un giorno smetteranno di essere soldati e i soldati che smetteranno di giocare ai giochi di guerra». Seven Trumpets, altro pezzo che riprende il testo apocalittico, è una narrazione drammatica che serve a introdurre Altamont, momento in cui la cortina della realtà è abbattuta, e la vera Apocalisse e lo spettacolo circense cominciano a intrecciarsi e a confondersi.

Aphrodite's_ChildPezzo abbastanza controverso e aspramente criticato è ∞ (Infinity), composto da Irene Papas e da lei cantato. Irene recita: «Io ero, io sono, sono io a venire», frase di ascendenza religiosa che su una pista di percussioni sparse si trasforma in una frenesia orgasmica di gemiti. Vangelis ha descritto la traccia come un pezzo che ha «lo scopo di trasmettere il dolore del parto e la gioia del rapporto sessuale». Secondo Costas questo pezzo era quello che meglio poteva dare l’idea di un Apocalisse profana e distruttiva imminente, come un momento di radicale cambiamento e trasformazione del mondo, attraverso una figura femminile che ha in sé il potere procreativo e rigeneratore. Con le successive All The Seats Were Occupied e Seven Cups il gruppo esprime finalmente il concetto disvelato di Apocalisse come sogno utopico, come fine di un mondo crudele, oppressivo, fatto di guerra, leggi ingiuste e omologazione, in una forte presa di coscienza denunciata a gran voce: «We are the people, the rolling people, the why people, the waiting people, the wanting people, the tambourine people, the alternative people, the angel people…».
Il disco si chiude infine con Break, una ballata cantata da Sideras, sostenuta da pianoforte e organo e da alcuni vocalizzi jazz di Vangelis, dosati con molta ironia. La canzone si conclude con un accordo di pianoforte e organo ed è seguita, dopo 6 secondi di silenzio, da un campione di Forst che dice: «Do it!».

villo

Virginia Villo Monteverdi

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