Anche nell’universo si ascolta musica classica. Dal 1977

Il recente annuncio della NASA, l’agenzia governativa statunitense, circa la scoperta di un sistema di esopianeti attorno alla stella TRAPPIST-1 ha portato molti a rivolgere nuovamente lo sguardo alle stelle, ai mondi siderali. Naturalmente ciò che ha maggiormente catturato l’attenzione del pubblico è l’individuazione di almeno tre pianeti situati all’interno di quella che gli astronomi hanno definito una «fascia abitabile» e che quindi è possibile che ospitino la vita.

L’esistenza di vita extraterrestre è da sempre uno dei grandi interrogativi dell’uomo, nonché idea che come topos letterario (e poi anche cinematografico-televisivo) appartiene all’immaginario collettivo già dai tempi di Luciano di Samosata, e nel corso dei decenni – per non dire dei secoli – ci sono stati numerosi tentativi di stabilire quello che si suole definire “primo contatto”, talvolta in modi bislacchi, talvolta con irreprensibile rigore scientifico (si pensi al programma SETI).

Nel 1977 la NASA inaugurò il programma Voyager, con l’obiettivo di studiare il sistema solare esterno. Le due sonde, Voyager 1 e Voyager 2, sono state quindi progettate in modo da avere sufficiente autonomia per continuare a funzionare e a inviare materiale per molti anni (si stima fino al 2025) non solo sulla parte estrema del nostro sistema solare ma anche dello spazio interstellare, in cui le sonde sono destinate ad addentrarsi.

Dato che si tratta dei primi manufatti umani che dovranno abbandonare il sistema imperniato sul nostro Sole, il personale della NASA ha pensato di includere nelle due sonde una raccolta di immagini e suoni del pianeta Terra, una sorta di “brochure” per eventuali forme di vita intelligenti. Naturalmente più che di un tentativo di contatto si tratta di un atto prettamente simbolico, ma questo non scalfisce la sua importanza né il suo indiscutibile fascino. Questa raccolta di dati ha la forma di due dischi 33 giri, uno per sonda, realizzati in oro, tanto che il loro nome è proprio Voyager Golden Records. La custodia dei dischi contiene diverse informazioni sugli esseri umani e come utilizzare i dischi.

 

Carl Sagan

Dischi e custodie e furono progettati da Carl Sagan, che selezionò anche il materiale da incidere nei due dischi; Sagan scelse 115 immagini e una vastissima raccolta di suoni e voci umane: suoni naturali (le onde del mare, il vento), suoni di animali (canto degli uccelli, delle balene), nonché saluti in ben cinquantacinque lingue diverse – dall’accadico al latino, al greco, al wu, all’oriya – e un personale saluto da parte dell’allora Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter e del coevo Segretario Generale dell’ONU Kurt Waldheim.

Oltre a tutto questo Sagan decise di includere anche una nutrita selezione musicale che comprende anche molta musica classica: tra le stelle risuonano le note del primo movimento del Concerto brandeburghese n. 2 di Bach e la sua Gavotta dalla Partita per violino n. 3, la celeberrima Aria della Regina della Notte dal Flauto Magico di Mozart, l’episodio culminante della Sagra della Primavera di Igor Stravinsky (la Danza Sacrificale), il Preludio e Fuga n.1 dal secondo libro del Clavicembalo ben temperato – ancora Bach, stavolta nella significativa interpretazione di Glenn Gould – e due capolavori di Ludwig van Beethoven, il primo movimento della Quinta Sinfonia e la Cavatina dal Quartetto n. 13.

Le sonde Voyager incontreranno la prima stella tra circa quarantamila anni, quindi prima di allora sarà ben difficile sapere se sono state intercettate da qualcuno (o qualcosa), ma sarebbe grandioso se altre civiltà si presentassero chiedendoci l’ultimo disco della Philharmonia Orchestra. Nell’attesa, grazie a Spotify possiamo ascoltare esattamente la selezione di brani che in questo momento, grazie al dottor Sagan, sta portando la nostra voce e la nostra anima verso l’ignoto.

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