Lorenzo Garzella, la memoria come esercizio quotidiano

Intervista a Lorenzo Garzella

 

Nell’ultimo giorno del 2015 abbiamo incontrato il regista, documentarista, docente e fondatore dell’Acquario della Memoria, Lorenzo Garzella. Abbiamo parlato della sua formazione come documentarista, dei suoi lavori passati e futuri e dei suoi progetti basati sulla memoria.

Lorenzo Garzella

«Io mi considero prima di tutto un documentarista sperimentale». Sono queste le parole di benvenuto di Lorenzo Garzella. Documentarista e regista pisano, classe 1972, a cui si deve, insieme a Filippo Macelloni, una delle opere più originali che siano mai state fatte in Italia negli ultimi quindici anni: Il mundial dimenticato. Per i neofiti: Il mundial dimenticato è un mockumentary basato sulla storia del mondiale disputato in Patagonia nel 1942, durante la Seconda Guerra Mondiale. La passione per lo sport di Garzella viene da lontano e questa passione è potuta diventare un lavoro tramite il mezzo del documentario:

Avevamo iniziato con un documentario su una squadra di calcio di detenuti ed il calcio ha continuato ad essere il soggetto per due cortometraggi di fiction, commissionati da Sky Cinema Autore, che si chiamavano La barriera e Massima punizione. L’incontro con il calcio vero c’è stato nei primi anni 2000 quando fui interpellato dalla Panini per la ristrutturazione della loro area digital e poi sono cominciati i documentari sul calcio per la RAI e per il gruppo RCS intervistando un numero elevato di calciatori famosi come Baggio, Totti o Maradona.

Tutto questo lavoro fatto su territorio nazionale ha poi dato la possibilità a Garzella di ricevere la chiamata della FIFA nel 2010 per realizzare un film di montaggio realizzato con i loro archivi sul mondiale del 2006.

Essendo un po’ sperimentatore, avendo fatto tanto lavoro sul calcio e occupandomi di viaggi, di memoria e di guerra, leggendo il racconto dello scrittore argentino Osvaldo Soriano intitolato Il figlio di Butch Cassidy che aveva questo incipit “i mondiali del 1942 non figurano in nessun libro di storia ma si giocarono nella Patagonia argentina” mi sono reso conto che avevamo la possibilità di riempire questo buco della storia, mescolando a questa componente leggendaria un contesto reale.

E così nasce Il mundial dimenticato. Perché questa particolare forma di documentario anziché una fiction?

Per un racconto di memoria sportiva – racconta Garzella – ci sembrava che il linguaggio del documentario fosse più efficace di quello della fiction. Anche a livello visivo, mettere in scena una partita di calcio ci sembrava un po’ posticcio mentre la soluzione a noi più congeniale è stata quella di unire il meccanismo di racconto orale al materiale d’archivio.

Viene da chiedersi quale sia il comportamento di un documentarista di professione al momento di confrontarsi con i passi necessari alla realizzazione di un’opera di fiction.

Questo per un documentarista è bellissimo. Puoi fare i casting, puoi ripetere le scene, puoi decidere quello che ciascun testimone ti può dire, puoi dilatare i confini. Il lavoro sul calcio vero, il lavoro sui documentari e un po’ di sperimentazione pazza ci ha fatto fare questo film sul mondiale che sempre avremmo voluto vedere.

Garzella e Macelloni locandina

Garzella ha definito questo suo lavoro come una commedia surreale travestita da documentario nella quale però tutta la parte riguardante la storia della Patagonia, della città di Cipolletti e degli indios Mapuche erano vere. Quando uscì questo mockumentary ricordo di aver letto articoli sospesi tra scetticismo ed incredulità. Lo conferma anche Garzella.

Molta gente è caduta nel tranello anche più di quello che ci aspettavamo. L’idea non era quella di prendere in giro lo spettatore ma quella di stimolarlo a riflettere sul confine tra vero e falso, stimolarlo a capire dove stava la barriera di sospensione dell’incredulità che il cinema da sempre genera. Quello che avevamo pensato era quello di dare indizi sempre più marcati di una finzione. Noi non avevamo dubbi che, alla fine del film, il pubblico uscisse dalla sala convinto di aver visto un’opera di finzione. Invece no. C’è stata una percentuale trasversale (dal giornalista al produttore della RAI) che ci hanno voluto credere. Quegli spettatori io li chiamo i posseduti.

Uno degli aspetti più umani e caldi ricordati più volentieri dal regista è stato sicuramente il lavoro sulla memoria (finta o vera che sia) con gli anziani che hanno partecipato al Mundial.

il lavoro con gli anziani, anche nella finzione, è un lavoro che è abbastanza simile a quello dei documentari ed anche quando loro devono dire delle cose inventate sulla loro giovinezza vengono trasportati in un mondo di memoria nel quale il presente ed il passato si confondono. Ci vuole pazienza a lavorare con loro, però ti danno un calore ed un’emozione vera; questa componente di lavoro sugli anziani abbia dato calore al film perché spesso i mockumentary possono risultare dei giochi freddi e cerebrali mentre l’unione tra componenti di memoria e presenza degli anziani penso possa aver dato al Mundial maggior umanità.

Adesso passiamo a parlare di Crazy Dreamers, un mockumentary seriale basato su storie dei geni ed inventori del ‘900. Lorenzo mi racconta che Crazy Dreamers è attualmente un progetto composto da almeno dieci puntate di cui sono stati trovati fondi per metà di esse. È un progetto che cerca collaborazioni all’estero insieme ad alcuni aiuti della RAI e attualmente ci sono trattative in corso. Per adesso è stato girato un numero 0, un episodio pilota – ci confida Lorenzo – però ancora mancano alcune parti per completare il lavoro. Cosa ci raccontano le storie di Crazy Dreamers? E come sono raccontate?

Tante storie straordinarie di geni misconosciuti del ‘900. Qui, a diffierenza di quello che abbiamo fatto nel Mundial , nei titoli di coda diamo la risposta agli spettatori se la storia che hanno appena visto è falsa oppure vera. La maggioranza delle storie saranno comunque vere e tramite una trovata grafica simile alla macchina della verità facciamo intuire quali dichiarazioni sono false oppure vere. Speriamo di arrivare alla produzione definitiva attraverso l’unione di tre o quattro broadcasters internazionali.

crazy

L’intervista coincide con il numero di TuttoMondo dedicato alla memoria ed i suoi vari aspetti. Come ben sapete, Lorenzo Garzella è il fondatore dell’Associazione Culturale “Acquario della memoria” al cui interno è attivo il progetto Memory Sharing, un progetto di raccolta-condivisione-narrazione della memoria collettiva.

Il progetto Memory Sharing – ci spiega il regista – è nato dalla mia esperienza di documentarista anche su set cinematografici (Benigni, Faenza). Quando lavori nella documentazione di un film, tutto il tuo materiale viene compresso per la riuscita del film. Se il film è bello rimane nella storia, se il film è brutto tutto il lavoro che viene considerato perduto. Anche per un documentario standard è così: si fanno decine di ore di ricerche per poi comprimere tutto in tre quarti d’ora. Visto che questa cosa mi andava stretta ho pensato all’idea di Memory Sharing. Ho pensato di dare importanza maggiore al processo di ricerca e minore importanza al progetto finito; mi sembrava che fosse più importante far vivere queste ricerche e farle esplodere via via, coinvolgendo le persone per avere i materiali e le storie in modo da farne tante cose differenziate. Memory Sharing è raccogliere/condividere/raccontare.

Garzella cinebicicletta Tra 2014 e 2015 l’associazione si è occupata prevalentemente di raccontare le memorie della guerra a Pisa e sono state fatte mostre fotografiche, multimediali ed interattive, pubblicazioni sul giornale, progetti editoriali, diari che rischiavano di andare perduti, scritti da gente che ha vissuto la guerra sulla pelle, proiezioni al Bastione Sangallo di un audiofilm per far vivere agli spettatori i suoni delle bombe e della guerra in un luogo in cui la guerra si è subita davvero, il tutto mescolato con letture di diari e testimonianze. Un altro aspetto caratteristico dei progetti di Memory Sharing-Acquario Della Memoria è l’utilizzo della cine-bicicletta per proiettare sui muri della città di Pisa le storie avvenute proprio in-loco. Per i non addetti al mestiere la cine-bicicletta è:

Una bicicletta che al posto del fanale ha un proiettore. In questo modo si possono portare le persone nelle piazze in cui sono successi i fatti. È come se i muri della stessa piazza prendessero vita e parlassero. È come ridare ad una piazza una fetta di storia e di memoria che si è persa. Come ad esempio la storia dei 1000 rifugiati dentro la cattedrale nel luglio 1944 che nessuno più si ricorda e che abbiamo raccontato proiettandone la storia sui muri dell’edificio sacro. Oppure la proiezione dei bombardamenti sopra la fontana della Stazione Centrale che ha ridato decoro pubblico e civile a quella zona di continuo degrado.

Il prossimo anno Memory Sharing – ci anticipa Garzella – si soffermerà a parlare dell’Arno, giusto in tempo per celebrare il triste cinquantesimo anniversario dell’alluvione del 1966 e della storia dell’Università di Pisa tramite un lavoro di archivio. E lo farà nuovamente sapendo di continuare a coinvolgere le persone e raccontare la storia e la memoria in tanti modi diversi.

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Tomas Ticciati
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